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[Zero2] Jazzmi. dal 12 ottobre al 5 novembre. in giro.

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Ho trascorso le ultime settimane in un piccolo paese semi-spopolato sulle colline. Il paesaggio sonoro era composto dai versi degli animali, dai macchinari al lavoro nei campi, dalle urla dei giochi di bambini lontani, dalle frasche degli alberi agitati dal vento, e dalle campane. Nelle aree interne succede ancora: i campanili si attivano regolarmente, ogni ora, o quasi. Perché le campane, benché non esistano più i campanari, si insinuano nell’orizzonte portando con sé la tradizione, vero, ma innervandola di un non so che di improvvisazione, quasi di caoticità. Così c’è quella che salta qualche ora, imprevedibilmente, quella che ogni tanto batte le :00 ma altre volte le :04, o le :02, o tutte e tre; quella che fa le mezz’ore ma solo in certe fasce orarie; quella che alterna, senza un filo logico, melodie differenti.

A Milano le campane suonano di rado, la genuinità del paesaggio sociale è stata soffocata negli anni dal cemento e dal mercato, ma se si dovesse scegliere un momento per far suonare tutte le campane di Milano, a chiamata e a festa, be’, quel momento sarebbe l’arrivo di JAZZMI. Sarebbe un benvenuto alla vita, a chi torna in città e a chi vi transita, perché JAZZMI è questa cosa qui: uno dei rarissimi motivi per cui vale la pena abbandonare le colline e ridiscendere a Milano. In una città sempre più rassomigliante a una silenziosa e immutabile distesa d’asfalto, dove la musica suona soltanto sottoterra e le strade sono state svuotate dalle persone per dare spazio e precedenza esclusivamente alle merci, ecco che per tre settimane abbondanti torna, finalmente, il rumore.

Il jazz è un pacifico slancio di umanità, imprevedibile come un orologio sbagliato, stratificato come un lungo viaggio, armonioso come un risveglio di campagna. Siamo fortunati, noi milanesi di nascita o in transito, a poter contare su JAZZMI, che anno dopo anno ci riporta tutto questo con amore e dedizione. E con sempre più voglia di far casino. Per il 2023 JAZZMI si insinua in città più a lungo del solito, e lo fa spaziando di qua e di là, come d’abitudine, nei luoghi e nei suoni. Gonfiate la camere d’aria e lubrificate le catene delle biciclette, quindi, perché la strada da fare sarà parecchia. Si parte giovedì 12 con Arto Lindsay, che inaugura uno dei pilastri della rassegna: portare in città i mostri sacri della musica. Si chiude domenica 5 novembre con Makaya McCraven, che chiude l’altro fondamento di JAZZMI: dare voce alla musica di oggi, a chi ha lo sguardo piantato nel futuro. In mezzo c’è tutto, talmente tanto che si fatica a fare anche solo un riassunto del programma di quest’anno.

C’è Antonio Sánchez con il suo quartetto acustico, la tromba di Ibrahim Maalouf, il ritorno di Binker Golding con la sua formazione quasi jazz-rock, l’ensemble di Ben Lamar Gay, una delle figure di spicco della scena avant-jazz chicagoana di questo decennio, il nuovo tropicalismo di Lucas Santtana, i caleidoscopici panorami londininesi di Ashley Henry, DoomCannon e Mansur Brown, le più disparate vie del flamenco con Niño de Elche e Raül Refree, ma pure con Paolo Angeli. E poi il super trio che metterà insieme il musicista gnawa Majid Bekkas con Hamid Drake e Shabaka Hutchings. E i salti nel soul con i Thee Sacred Souls, nel funk con i Lehmanns Brothers o nel nu-jazz con i GoGo Penguin. E di nuovo i grandi nomi di un passato ancora vivo, come la Sun Ra Arkestra, William Parker, Marcus Miller, John Scofield o Gilberto Gil. E infine una costellazione di locali, circoli, piccoli spazi che si insinuano nel cartellone della rassegna con quello che fanno abitualmente, continuando a far suonare chi ancora lo fa, ogni giorno. Perché in fondo non è vero che a Milano non c’è più musica, come non è vero che non suonino più le campane. Sono solo soffocate da una città che non le vuole più, ma tendendo l’orecchio si trovano ancora, e per le tre settimane di JAZZMI suoneranno a tutto volume, all’orario che gli pare. Che sia di buon auspicio.

 

 

 


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